Ultima modifica: 27 Gennaio 2020

GIORNATA DELLA MEMORIA

Lunedì 27 gennaio 2020
CONCERTO DELLA FANFARA
del 3° Reggimento Carabinieri Lombardia

FANFARE FOR NOBODY – Dedicato ai dispersi di tutte le guerre – Andrea Bagnolo

V SINFONIA – 1° Movimento – L.V. Beethoven

Auschwitz Salvatore Quasimodo

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.


Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: ” Il lavoro vi renderà liberi ”
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.

 

Io avevo odiato, per tutto il tempo della mia prigionia, i miei persecutori, li avevo odiati con una forza enorme e in quel momento, quando vidi il comandante di quell’ultimo campo vicino a me spogliarsi e buttare divisa e rivoltella, ai miei piedi pensai: «Adesso, con grande fatica, vista la mia debolezza, mi chino, prendo la pistola e lo uccido».

Mi sembrava il giusto finale per quello che avevo visto e sofferto, per quello che avevo visto soffrire e morire intorno a me. Un attimo. Una tentazione fortissima. Ma, in quell’attimo stesso in cui ebbi la tentazione di uccidere, capii che io ero diversa dal mio assassino, che io non avrei mai potuto uccidere nessuno per nessun motivo. Se avevo scelto la vita, non potevo mettermi sullo stesso piano di chi aveva nutrito a tal punto di odio la cultura del proprio Paese da collocare nei luoghi del potere simboli di morte come le tibie incrociate e il teschio.

Io avevo scelto la vita quindi non avrei mai potuto uccidere nessuno. Non ho raccolto quella pistola e da quel momento non solo sono stata libera ma sono diventata donna di pace. Appartengo a una specie in via di estinzione: i sopravvissuti della Shoah, sono nata nel 1930, sono oggi una delle più giovani di quei 90 sopravvissuti che vivono in Italia che possono dire come me: «Io c’ero». Quando vado a parlare nelle scuole, nelle università, nei circoli, nelle parrocchie, ovunque mi invitino, vorrei prendere per mano quelli che mi ascoltano, visto che la mia testimonianza non è né un’elaborazione né uno studio teologico, critico, filosofico, storico, psicanalitico, ma una storia personale. Vorrei prendere per mano le persone e invitarle, mentre racconto, a non perdere nella vita nessun momento di amore verso coloro che ci vogliono bene… Sono momenti preziosi, che caricano per tutta la vita.

(Liliana Segre)